A cosa servono (se servono ancora) i parchi in Sicilia?
A cosa servono (se servono ancora) i parchi in Sicilia?
La parola attorno a cui ruota il ragionamento è: riformare il sistema dei parchi in Sicilia. Nel modello istituzionale, nel modello organizzativo, nel modello di gestione, nei meccanismi di spesa. Per pervenire ad una riforma innovativa in grado di ancorare la Sicilia ai migliori esempi europei in tema di politiche a favore dei territori tutelati ad aree naturali protette.
1.La domanda
La domanda, non retorica, è diretta: a cosa servono i parchi così come essi sono diventati oggi? Da essa ne discendono altre due, ancora più radicali: servono ancora a qualcosa? E la Regione, da cui dipendono, cosa intende farne?
Non si dolga la sensibilità ambientalista né certa cultura ma, proprio perché non si vuole nascondere il valore della difesa e della conservazione del patrimonio naturale e ambientale (anzi!), occorre che con estrema onestà e franchezza ci si interroghi su cosa sono diventati oggi i parchi in Sicilia e se essi, così come sono stati ridotti, servono ancora a rappresentare quelle nobili e alte finalità istitutive.
Lo dico subito in maniera chiara e forte: così come essi sono stati ridotti, non servono più. Essi hanno tradito la loro mission originaria. Il sistema va ripensato a fondo, e radicalmente, il prima possibile. Altrimenti è meglio chiuderlo.
Ne spiego le ragioni.
2. La legge istitutiva
Or sono trentadue anni fa quando La Regione Siciliana emanava la legge istitutiva di parchi e riserve in Sicilia. Quella legge (la n. 98 del 1981 a cui seguì poi, nel 1988, la n. 14), nel panorama nazionale fu salutata come un legge altamente avanzata e presa addirittura come modello (la stessa legge quadro nazionale, la 394/91, era ancora molto di là a venire), proiettando così la Sicilia fra le punte più avanzate a livello europeo.
Quella legge fu il risultato e il prodotto di anni di battaglie ambientaliste serie che miravano ad ancorare la Sicilia dentro l’alveo della riflessione più moderna e avanzata in materia di protezione dell’ambiente naturale e di salvaguardia degli ecosistemi in via di estinzione, allo stesso tempo offrendo, da qui la grande intuizione della legge e la sua modernità, la prospettiva di uno sviluppo sostenibile (concetto che sarebbe stato enunciato per la prima volta solo nel 1987 con il Rapporto della Commissione Burtland), coniugando così, in maniera equilibrata, le ragioni della tutela e della conservazione con le potenzialità delle risorse territoriali da valorizzare e fruire correttamente. Temi questi, all’ordine del giorno oggi con il dibattito sulla green economy o con l’Agenda 21 sullo sviluppo locale, ma non a quell’epoca.
Tutto ciò, si diceva e si scriveva allora con molta enfasi nelle finalità della stessa legge (art. 1) “per consentire migliori condizioni di abitabilità nell' ambito dello sviluppo dell' economia e di un corretto assetto dei territori interessati, per la ricreazione e la cultura dei cittadini e l' uso sociale e pubblico dei beni stessi nonché per scopi scientifici”.
Parole altisonanti che, a leggerle, risuonano ancora oggi quale epitaffio perfetto per una letteratura in materia che andrebbero scolpite all’ingresso delle sede degli Enti e della stessa Regione per non dimenticare il senso della propria mission.
Ne nacquero così nel tempo, via via, l’Ente Parco dell’Etna (1987, oggi proposto dall’Unesco quale patrimonio dell’umanità), l’Ente Parco delle Madonie (1989), l’Ente Parco dei Nebrodi (1993), l’Ente Parco fluviale dell’Alcantara (2001). A questi si aggiunga anche l’Ente Parco dei Sicani che istituito per ben due volte (2010 e 2012), altrettante volte è stato bocciato dal TAR a seguito di ricorsi.
3. A trent’anni dalla legge un check up
Ma oggi, a distanza di 32 anni dalla legge istitutiva, qual è la situazione? Qualcuno si vuole prendere la briga di fare un bilancio consuntivo di questa esperienza e trarne delle conclusioni? Magari per aggiornare ciò che va aggiornato, rivedere e cancellare ciò che non funziona. Insomma compiere un vero e proprio check up?
In vista di questo improbabile (ahimè!) check up che nessuno, in questi trent’anni, si è mai preso la briga di fare (e avrebbe ben dovuto e potuto farlo chi è stato preposto al controllo e alla verifica del sistema come le Commissioni legislative dell’ARS e lo stesso Assessorato regionale territorio e ambiente), io dico la mia e affermo, con convinzione maturata da tempo per esperienza diretta, che essi, i parchi, così come sono stati ridotti, non servono più, e gli enti che sono stati pensati e costruiti all’inizio degli anni ’80 per la loro gestione, se non irrilevanti sono addirittura dannosi per il territorio, un freno al suo sviluppo, un ostacolo alla sua fruizione, un balzello insopportabile quando semplicemente non sono considerati con indifferenza dalla stessa popolazione residente limitandosi ed essere un solo costo, peraltro sempre più a fatica sostenibile dalla Regione.
Ovviamente a questa considerazione non tanto paradossale, certo estrema, porto i motivi e le ragioni che mi hanno indotto a formularla e, al dibattito che spero si apra (ben felice di essere smentito), porto delle prove oggettive, almeno dal mio punto di vista.
Per tutelare la natura, che ci è arrivata quasi intatta dall’origine dei tempi, non servono gli enti parco che sono solo sovrastrutture, quando ad essa si sovrappongono. La natura, se si intende tutelarla ha bisogno solo di una dose di buon senso e di leggi mirate ed appropriate. Essa, se lasciata in pace e senza addossargli enti, nel frattempo diventati inutili e costosi, si auto-conserva.
Se si istituisce un parco rispetto a qualsiasi altra forma di gestione del vincolo di tutela si intende introdurre un quid aggiuntivo che, facendo fulcro sulle risorse naturali e ambientali, intende disegnare una gestione e organizzazione territoriale diversa, uno sviluppo possibile e necessario per quel contesto territoriale che è unico nel suo genere.
Un parco, non essendo solo natura ma anche ecumene, cioè spazio abitato, antropizzato, deve tenere conto di un equilibrio, di una equità, di una risorsa e della sua azione: l’uomo che vive li con l’attività che vi esplica.
Ma per attuare questo modello gestionale e organizzativo, per animare questo sviluppo, occorre realizzare politiche attive di sostegno alla valorizzazione e fruizione delle risorse territoriali, politiche che includono e presuppongono una sinergica e trasversale considerazione di tutte le componenti dello sviluppo locale che vanno dalla pianificazione urbanistica a quella territoriale, dall’agricoltura alla zootecnia, dai servizi alla cultura.
Occorrono anche le risorse finanziarie adeguate senza le quali non si può corrispondere pienamente alle finalità istitutive le quali vengono eluse.
In altre parole, si richiede alla Regione che ne ha concepito il sistema, la coerenza delle sue politiche con la legge istitutiva rispettandone la ratio e le finalità.
Purtroppo, niente o quasi niente di tutto questo è avvenuto in questi 32 anni dalla legge istitutiva o, per non essere del tutto negativi, di quel poco che pur è avvenuto, via via, lungo il passare degli anni, si è perso nell’indistinzione e nell’irrilevanza.
Così, con la solita politica dei due tempi, dapprima, giustamente, si sono introdotti i soli divieti e i conseguenti vincoli ma poi mai è arrivato il secondo tempo della partita, quello delle politiche attive che avrebbero dovuto fare la differenza per quei territori tutelati e antropizzati segnandone così, in positivo, il loro avvenire quale modello possibile e concreto di compatibilità fra tutela e sviluppo da indicare a tutti.
4. Esempi di in attuazione delle finalità originarie della legge istitutiva
Qualche esempio? In nessun parco, a distanza di ben 5 lustri dalla loro istituzione, è questo un dato oggettivo riscontrabile, nessuno di quei strumenti essenziali per avviare questo secondo tempo sono stati adottati o resi esecutivi, o, addirittura, in alcuni casi, sono stati ancora ipotizzati ed elaborati.
E’ così per il Piano Territoriale di Coordinamento, o per il Programma pluriennale economico-sociale o per i Programmi d’intervento annuali. E’ così per l’inosservanza della norma che prevede priorità di finanziamento per interventi strutturali e infrastrutturali da attuarsi nei Comuni del parco.
Mi limito solo ad alcuni, seppure fondamentali, aspetti ma si potrebbe continuare oltre e riguardare ogni singolo ambito inattuato della legge istitutiva (si prenda, per esempio, per quanto riguarda le Madonie, il caso di Piano Battaglia in cui un polo unico di valore ambientale assoluto, ma anche di enormi potenzialità turistiche, rimane terra di nessuno senza nessun coordinamento effettivo, senza nessuna politica di effettiva tutela ed efficacia valorizzazione con ben 5 Enti diversi, invece, che spesso, fra essi confliggenti, esercitano competenze ‘sovrane’ tanto da produrre solo una perfetta, quasi mortale, stasi assoluta). E si potrebbe continuare ancora…
Se a questa inadempienza ingiustificata si aggiunge anche – e parlo per esperienza, a meno di essere smentito – che nessun nuovo posto di lavoro (dicasi uno) è stato davvero creato grazie alla presenza e all’azione del parco in nessun settore strategico sia esso tradizionale (agricoltura, artigianato, zootecnia) o innovativo (servizi, tempo libero, fruizione, cultura), cioè tutte quelle attività connesse con il vivere la natura e l’ambiente, cioè un lavoro fra i tanti decantati possibili e concreti attivabili con il modello di sviluppo proposto che l’istituzione dei parchi avrebbe dovuto portare con sé o su sua iniziativa diretta attraverso uno dei tanti summenzionati strumenti di pianificazione e programmazione, dei suoi finanziamenti (ma, del resto, se tale strumentazione non è mai stata adottata, che cosa avrebbe dovuto creare?), anzi, addirittura sono stati persi (basti pensare alla giusta chiusura delle cave a Polizzi Generosa avvenuta verso la fine degli anni ’80 aspettando ancora, quegli operai, di essere ricollocati nelle attività nascenti promesse con l’istituendo parco!), rimane allora una grande e non più condivisibile discrasia, un grande incolmabile iato tra un sistema perfettamente concepito e una realtà che nei fatti ha abortito questa costruzione legislativa con il grave danno conseguente che, nel frattempo, il sistema si è alienata la fiducia della popolazione.
Insomma, un vero e proprio fallimento della sua mission di fondo, almeno in quella connessa alla parte dello sviluppo compatibile, alla fruizione e a tutto ciò che recita proprio quel bellissimo art. 1 sopra richiamato che, rimanendo quale epitaffio sembra solo una grande beffa e una provocatoria ironia non più sopportabile.
E dunque, cosa rimane oggi di questo sistema nel frattempo così configuratosi in questi 30 anni?
Rimane la sua elefantiasi burocratizzazione in enti e strutture burocratiche che non dialogano tra loro ma che abbisognano di risorse solo per autosostenersi (fra l’altro sempre più limitate e insufficienti). Fra l’altro, risorse non più bastevoli neanche per pagare gli stipendi di una pianta organica concepita 30 anni fa con 500 unità.
Rimane e prevale una duplicazione di Comitati e Organi, di Presidenti e Direttori e Unità operative varie ognuno dei quali organi, negli Enti diversi nei quali sono, hanno un trattamento diverso dall’altro.
Rimane l’assenza di un reale coordinamento regionale e l’assenza, ingiustificata e incolmabile, di una efficacia strategia regionale in materia di politiche attive nel settore.
Quale utilità di tutto questo per la Sicilia? Per gli stessi territori tutelati ? Per le popolazioni che vi risiedono? Giustamente, da più parti ci si chiede: a che serve tutto questo?
E’ questa, purtroppo, la dura e amara realtà che un’insana gestione e una poco accorta politica regionale ha ridotto il sistema dei parchi in Sicilia. In tempi di crisi finanziaria e di spending review, le stesse risorse assegnate ai parchi con legge di bilancio dalla Regione (dato che sono suoi enti strumentali) in questo ultimo decennio si sono sempre più ridotte fino ad essere quasi azzerate. Le solo risorse assegnate per la gestione da tempo non sono più sufficienti per pagare neanche quelle essenziali, urgenti e improcrastinabili quali sono quelle di acqua, luce, telefono, gli stessi stipendi del personale.
Nessuna assegnazione, invece, per investimenti e per programmi di sviluppo, seppur minimi; niente per gli indennizzi per danni causati da fauna selvatica che, anziché essere tenuta sotto controllo e limitata – come previsto dalla legge – prolifera indisturbata a dismisura con grave danno per le colture e per le persone che non ne possono più.
Siamo arrivati così alla fine della corsa, e alla fine c’è che se oggi si dovesse partire da zero e si dovessero istituire i parchi, le popolazioni si rivolterebbero contro (ma già lo fanno anche in altre forme e in altri modi), perché questo, anziché essere vissuto come un’opportunità e una risorsa, è considerato solo un vezzo di certi ambienti chic che, peraltro, non vivono nel territorio da proteggere.
Certo, lo so bene e ne sono sempre stato fautore e difensore: i parchi sono essenziali, oltre che per tutte le cose da fare e sopra dette, se non altro, per ciò che tutte queste le contiene e le presuppone, e cioè per l’evocazione, in termini di riflessione filosofica e antropologica, dei sani e corretti, ancestrali, rapporti e relazioni, carichi di significati e di simbologia, che devono presiedere tra l’uomo e l’ambiente, da cui ne discende, da una parte, una consapevole e responsabile azione di conservazione e tutela (l’uomo non è il centro del creato, semmai il suo guardiano quando non è il suo annientatore), dall’altra, appunto, un corretto assetto dei territori e uno sviluppo compatibile.
E sono imprescindibile, fra l’altro, per le correlazioni che presuppongono e richiedono in materia di biodiversità, di qualità ambientale, di cambiamenti climatici, di produzioni agroalimentari tipiche, di identità e patrimoni culturali, e si potrebbe ancora continuare con un lungo elenco.
I parchi, si sa (trovandosi esempi positivi in Italia, in Europa nel mondo), in questo senso sono un’opportunità. Ma in Sicilia no, essi sono diventati, purtroppo oramai da tempo, solo orpelli, carrozzoni inutili neanche più convenienti a mantenersi in vita con l’insieme.
5. Che fare? Riformare.
E allora, se questo è lo stato dei fatti, che fare?
Avere il coraggio di dire che il sistema non funziona, non corrisponde più alle originarie finalità istitutive. Quindi avere il coraggio di agire: o azzerarlo o riformarlo. In tal caso, ripensarlo di sana pianta: nel modello istituzionale, nel modello organizzativo, nel modello di gestione, nei meccanismi di spesa. Accorpando organismi, semplificando burocrazia, liberando risorse, razionalizzando le professionalità, risparmiando spesa improduttiva.
Per fare cosa? Per liberare risorse e destinarle alla natura, al territorio, ai suoi abitanti. Facendo diventare i parchi un sistema modello d’avanguardia e proiettando così la Sicilia a giocare un ruolo guida strategico in ambito euromediterraneo in tema di difesa e salvaguardia della natura ma anche di sviluppo ecocompatibile.
Mi sembra questa, per la Sicilia, una buona politica ‘rivoluzionaria’ perché semplicemente, radicalmente, riformista che una nuova classe politica e un Governo di forte spinta al cambiamento dovrebbe intestarsi. Una politica che purtroppo, ad ora, non si vede all’orizzonte siciliano. In questi tempi, anche la natura soffre e attende.
Gandolfo Librizzi
Direttore regionale dell’Associazione Ecologisti Democratici
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