Tra contraddizioni, indecenze, e voli per la Norvegia.

Tra contraddizioni, indecenze, e voli per la Norvegia.

 

Tre piccole (apparentemente distinte e distante)  questioni mi sono saltate oggi agli occhi e vorrei affiancarle per capire ciò che li lega ma anche la differenza.

La prima.

In un post di fb che ho condiviso, se non altro perché mio figlio trovandosi proprio in Norvegia a studiare Ingegneria Energetica proveniente dal Politecnico di Torino (post che è possibile leggere nella mia stessa pagina di fb), leggo: “Lavorare in Norvegia: 8 mila opportunità vi aspettano! Ottime condizioni di lavoro e importanti occasioni di carriera sono le principali caratteristiche dei lavori da ingegnere in Norvegia. Nonostante le buone competenze maturabili all’interno del territorio norvegese, e le ottime facoltà ingegneristiche, il Paese è alla ricerca di 16 mila esperti nel settore, di cui 8 mila da impiegare nell’immediato”. E via di seguito nel fornire indicazioni su cosa e come fare per cogliere l’opportunità.

La seconda.

Su Repubblica di oggi (pp. 29-31) L’inchiesta del giorno propone all’attenzione del lettore il problema sempre più emergente in Italia relativo al nascondimento dei titoli di studi per trovare lavorare (peraltro precario e sottopagato). Come dire, come dice lo stesso titolo di Repubblica: chi vuole lavorare deve nascondere la laurea. Cioè, in quanto troppo bravi, è più difficile trovare impiego.

La terza.

Ieri il Governo Letta ha approvato il ddl per la stabilizzazione dei precari nella P.A. e l’avvio di nuove procedure concorsuali, con l’annuncio, roboante di: “Mai più lavoro a tempo determinato nella P.A.”

In Sicilia, però, scoppia la rivolta. Tali norme, in generale condivisibili, tuttavia non risolvono l’atavico problema tutto siciliano. 23 mila precari in servizio nei Comuni Siciliani, da gennaio prossimo, rischiano, non solo il mancato rinnovo contrattuale ma addirittura il posto.

Di fatto, la situazione di dissesto finanziario di molti Comuni isolani, la irrisorietà di molte piante organiche scaturenti dal rapporto impiegati/popolazione, la mancanza di risorse e il gran numero di aspiranti, rischia di essere l’ennesima illusione per tanti onesti precari cittadini.

Dopo un quarto di secolo di precariato continuo e di fatto quasi ‘indeterminato’, dopo una vita di ‘sfruttamento’ e di sottopaga e senza contributi pensionistici per lunghi anni non versati da parte della PA Regionale (quindi, rectius, della politica), adesso, ciao: le norme, giustamente intese sul piano del diritto costituzionale, non consentono più né proroghe né assunzioni a tempo indeterminato. I tempi e, soprattutto, le magre finanze dei tempi di crisi, non consentono più questa perpetuazione.

Il bubbone malefico allevato a partire dal 1988 con il famoso art. 23 di una legge nazionale che prevedeva l’impiego di giovani di età non superiore a 29 anni in progetti socialmente utili della durata tassativa di anni 1!, qui in Sicilia, a differenza di altre parti d’Italia, provocò, grazie all’intelligente interpretazione Autonomista e specialità regionale, proroghe su proroghe, cospicue e lucrative campagne elettorali e fulminanti e splendide carriere politiche.

Oggi, arrivati al capolinea, il biglietto (e la pena per aver viaggiato quasi abusivamente) viene fatto pagare solo ed esclusivamente agli incolpevoli cittadini che semplicemente hanno svolto e svolgono il loro dovere. Una loro colpa: aver accettato l’impiego precario con la pia illusione che prima o poi si entrava nella P.A.

Ecco, dunque le tre questioni che ho accostato solo sfiorandole, ovviamente e senza sviscerarle per come meriterebbero. Nell’accostamento di queste tre questioni, mi è saltato all’evidenza qualcosa di anacronistico ed anomalo. I conti non mi sono tornati. Non mi è tornata l’efficienza e l’efficacia del nostro mercato del lavoro (quando agli studi che si compiono in Italia corrisponderà un pari impiego? E quando in Italia potremo leggere di 16 mila assunzioni di ingegneri, per non dire delle altre professionalità, in un sol colpo?)

Non mi è tornata neanche l’efficienza e l’efficacia del sistema formativo perché se i giovani laureati italiani, alla fine del loro percorso sono costretti o a prendere la valigia ed emigrare all’estero, o a rimanere disoccupati oppure, peggio ancora, nascondere il loro titolo per lavorare in lavori dequalificati rispetto ai loro studi (nel frattempo quanto sono costati allo Stato e alle famiglie questi giovani?) allora meglio sarebbe chiudere le facoltà che non producono lavori corrispondenti oppure limitare ai soli pochissimi fortunati l’accesso. Un po’ come avveniva una volta, in cui, grazie al censo, già in partenza si escludeva l’accesso in massa nelle Università. I pochi che ne uscivano con il titolo lavoravano e facevano progredire la nazione.

Non mi torna affatto, infine, l’incongruenza e la contraddizione tutta siciliana (ecco le cause del nostro arretramento) che a fronte di un gigantesco problema di precarietà nella PA, dopo 25 anni della sua nascita coltivazione e foraggiamento, si dica a persone in carne ed ossa: non ci servite più.

Capisco le ragioni dell’efficienza, dell’economicità, del patto di stabilità, del diritto costituzionale (art 3 e 97 della Costituzione) e bla bla bla continuando, ma, d’altra parte, come può dirsi in diritto e in ragione, a persone oramai molte delle quali avviate oltre la soglia dei 50 anni e verso una pensione che mai percepiranno: non possiamo più tutelarvi?

Dopo che la politica e i Governi scellerati di questa terra gli hanno succhiato l’anima, offeso la dignità, e espunto il cervello riducendoli ad una dipendenza totale del sistema clientelare di cui sono figli, ora li lascia così, in balìa dell’incertezza futura e del dramma personale.

Accostate le tre questioni, in conclusione, non so indicare una via d’uscita, non so esplecare altri ragionamenti se non quelli derivanti da una loro prima evidenza fattuale. Evidenza fattuale che mi ha fatto scaturire l’immediata percezione, che questa è  una Regione e una Nazione che, così perdurando le cose, non hanno futuro.  

Per questo occorrerebbe cambiare, e totalmente, rotta.

Magari nella direzione della Norvegia, se questa è l’opportunità del momento per tanti giovani. Non è poi così lontano. Soltanto un paio di ore di volo da Palermo o Catania.

Gandolfo Librizzi, Direttore Big Bang Sicilia

 


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